Capacità portante dell'AmbienteIl livello e l’andamento di una popolazione dipende da quattro fattori:
- nascite
- morti
- emigrazioni
- immigrazioni
L’evoluzione naturale di una popolazione vede una prima fase di crescita esponenziale, ed una seguente di accrescimento logistico, seguita da una stabilizzazione a causa dei “fattori limitanti” (competizione, predazione, gerarchie, malattie, risorse alimentari e spazio disponibile, ecc.).
In un ambiente equilibrato convivono molte specie, e nessuna raggiunge densità particolarmente elevate.
Alcune attività umane rompono questi equilibri, modificando e semplificando l’ambiente, oppure mettendo a disposizione elevate quantità di cibo. Questi fattori determinano la scomparsa di molte specie, mentre poche altre, particolarmente adattabili, sfruttano la nuova opportunità e aumentano rapidamente, fino a diventare “problematiche”. Le zone maggiormente urbanizzate ed i paesaggi dominati da agricoltura intensiva sono gli ambienti più squilibrati, dove si verificano sovraffollamenti e disagi.
UNA BATTUTA PER CONCLUDERE
Il ricercatore finlandese Nuorteva (1971) definì “disordine dei cicli ecologici” l’aumento vistoso di alcune specie di uccelli nelle aree urbane, innescato dalla dispersione di sostanze alimentari di origine antropica.
Alla fin dei conti, le specie problematiche sono un “sottoprodotto” del consumismo.
Strategia integrata/quadro generale dei metodi
Nella gestione faunistica si devono distinguere le tecniche che tentano di ridurre il numero degli individui, da quelle che cercano di prevenire i problemi = che è il vero obiettivo.
Per ridurre una popolazione si può intervenire sui seguenti fattori:
- aumento della mortalità (eliminazione fisica, incremento predatori)
- diminuzione della natalità (sterilizzazione, rimozione nidi/uova)
- riduzione delle risorse (habitat, cibo, acqua, siti alimentazione e riposo)
Per tutelare gli interessi umani si può inoltre procedere all’installazione di sistemi protettivi o all’allontanamento degli individui indesiderati.
Nessuna delle tecniche attualmente disponibili è completamente efficace per risolvere i problemi causati dalla presenza di un uccello, così come non esiste una strategia valida e applicabile in tutti in contesti: queste sono le prime regole!
Ciò nonostante, in tutto il mondo sono state sperimentate le tecniche più disparate, dalle più ecologiche e incruente alle più distruttive.
Le strategie devono essere messe a punto “personalizzandole” :
- alla situazione locale
- alla specie che abbiamo di fronte
- alla categoria sociale ed alle esigenze da salvaguardare
devono inoltre essere flessibili, per adattarsi ai mutamenti che possono avvenire nel tempo.
Occorre che le tecniche scelte considerino il grado di conoscenza al momento disponibile sulla biologia ed il comportamento della specie in questione (Feare, 2001).
L’integrazione dei diversi livelli spaziali (regione, paesaggio, sito, ecc.) in una organizzazione gerarchica, è un metodo efficace per comprendere un fenomeno biologico complesso quali sono le specie di vertebrati in espansione (Clergeau, 1995).
Una politica di gestione delle specie ornitiche problematiche, così come definita nei suoi criteri-guida presso i convegni tecnici e scientifici, deve risultare:
ecologica (occorre considerare la dinamica delle popolazioni e la capacità portante dell’ambiente)
integrata (usare più sistemi contemporaneamente e sfruttare le sinergie)
selettiva (evitare effetti indesiderati su altre specie e sull’ambiente)
economicamente sostenibile (devono essere maggiori i vantaggi rispetto ai costi)
durevole (gli effetti si devono mantenere nel tempo)
tecnicamente valida (si deve poter disporre facilmente delle tecnologie e delle attrezzature)
etica (deve essere rispettata la dignità ed il benessere delle specie da trattare)
condivisa (il metodo deve essere accettato dall’opinione pubblica – oltre che dalla legge)
In particolare, occorre seguire il criterio della Gestione Integrata delle Specie Problematiche (IPM – “Integrated Pest Management”): nessun metodo, se usato singolarmente, in maniera episodica e scoordinata, ed in assenza di un programma di monitoraggio, è in grado di offrire risultati apprezzabili.
Alla base di tutto si pongono le TECNICHE STRUTTURALI, le quali incidono sulle cause che determinano le sovrappopolazioni ed i disagi:
limitazione delle forniture di cibo, fornito direttamente dai cittadini, oppure involontariamente (discariche, campi coltivati, silos, ecc.).
Questa azione viene considerata indispensabile da tutti gli esperti del settore, in quanto l’eccessiva disponibilità alimentare induce le sovrappopolazioni e limita la selezione naturale.
COME SI AGISCE:
- campagne educative e informative
- ordinanze per la regolamentazione dell’alimentazione da parte dei cittadini
- migliore pulizia e igiene ambientale, soprattutto in occasione di fiere, mercati, ecc.
- installazione di sistemi di protezione e dissuasione, soprattutto presso aree portuali, mangimifici, discariche, ecc.
interventi sulle strutture e modifiche ambientali
COME SI AGISCE:
- limitazione dei siti di nidificazione su edifici e manufatti, tramite installazione di dissuasori di appoggio incruenti, chiusura selettiva delle cavità con reti antintrusione ed altri sistemi di protezione
- ordinanze, articoli del regolamento edilizio ed interventi per il restauro e la manutenzione dei fabbricati, soprattutto quelli fatiscenti
- installazione di sistemi protettivi su colture agricole ed altri ambiti a rischio
- tecniche specifiche (gestione ad “erba alta” negli aeroporti, appezzamenti a perdere per “distrarre” gli uccelli dalle colture pregiate, allestimento di habitat alternativi in contesti non problematici)
L’unico sistema che garantisce una protezione sicura e permanente è l’esclusione, vale a dire la protezione degli ambiti ove non si desiderano le specie problematiche, ottenibile tramite l’installazione di reti, porte mobili, ecc.
Le modifiche ambientali producono un effetto più durevole rispetto ad altre tecniche, e si rivelano più convenienti sul lungo periodo (Booth, 1994).
Prima di installare dissuasori e reti antintrusione è indispensabile assicurarsi che:
- i sistemi siano incruenti
- risultino selettivi rispetto alle specie non-target
- non siano in corso nidificazioni, e le cavità non siano occupate da adulti e/o nidiacei
Molto interessante e innovativa è la gestione di colombaie razionali, che incontra una serie di finalità:
- attirare le colonie di Colombi in zone della città meno problematiche
- tenere sotto controllo sanitario i Colombi
- intervenire sul potenziale riproduttivo (rimozione o sostituzione delle uova)
- coinvolgere i cittadini zoofili, allestendo zone di alimentazione controllata
La realizzazione delle colombaie gestite risulta quindi estremamente stimolante, anche se il successo di questo approccio è dovuto al grado di organizzazione, alla possibilità di coinvolgere i cittadini e le associazioni ambientaliste e animaliste, e all’adozione di un piano di contenimento attraverso gli interventi strutturali sopra descritti nelle altre zone della città.
Esistono poi i DETERRENTI, costituiti in modo particolare dall’allontanamento (“scaring”) con dissuasori ad azione ottica, acustica, tattile, e repellenti chimici.
I deterrenti funzionano in due maniere: allontanando gli uccelli da raccolti, edifici, ecc., oppure disturbandoli, in modo da non permettere l’assunzione di cibo.
Si deve considerare che questi interventi hanno un’efficacia limitata nel tempo, perché molti dei deterrenti portano ad assuefazione, più o meno rapidamente.
L’efficacia rimane circoscritta anche nello spazio, poiché i deterrenti spostano semplicemente il problema: il nuovo sito scelto potrebbe essere addirittura più problematico rispetto a quello iniziale.
In inverno può essere più difficile allontanare gli uccelli, perché c’è meno cibo a disposizione nell’ambiente (Johnson et al., 1985).
Per ovviare a questi inconvenienti si consiglia:
- lavorare in un’ottica integrata, combinando più sistemi e variandoli nel tempo
- coordinare le tecniche su di un comprensorio ampio, attraverso una collaborazione tra amministrazioni diverse (Comuni, Province, Enti Parco, ATC, ecc.) e tra enti pubblici e soggetti privati
- usare i deterrenti soltanto per brevi periodi, coincidenti con il maggiore disagio (periodo di maturazione dei raccolti, luoghi molto frequentati dal pubblico, ecc.). Questo permette anche di ridurre gli impatti su specie non-target, migliorando la selettività dell’intervento
- mettere contemporaneamente a disposizione degli uccelli siti alternativi, in contesti non problematici (colture “a perdere” di scarso interesse, “oasi” degli storni, ecc.), ove “dirottare” gli interessi degli uccelli.
Un uccello può comunque reagire nei confronti di qualsiasi rumore (o stimolo) insolito per le prime 5 volte, ma i suoni che assumono un significato biologico (quali i richiami di angoscia) e quelli che variano sono i più efficaci (Johnson et al., 1985).
Gli ultrasuoni sono inefficaci, perché non vengono percepiti dagli uccelli (Woronecki, 1988).
Tra i METODI DIRETTI sono stati utilizzati la sterilizzazione, l’incremento dei predatori, l’abbattimento:
Il ricorso alla sterilizzazione, utilizzata prevalentemente sui Colombi di città, ha dimostrato diversi limiti e controindicazioni:
- quella chirurgica (vasectomia bilaterale dei maschi) richiede la cattura, la selezione dei sessi, la stabulazione ed un intervento da parte di un veterinario. L’efficacia è legata alla possibilità di intervenire su un gran numero di soggetti, fattore che, abbinato alla complessità delle fasi, induce costi non trascurabili. Inoltre, il riconoscimento dei sessi non sempre è facile, e l’operazione chirurgica presenta comunque un rischio per il colombo;
- quella farmacologica (somministrazione di mangime contenente antifecondativo) presenta rischi di contaminazione ambientale e di coinvolgimento di specie non-target (predatori e commensali) e di intossicazione per gli stessi colombi, in quanto l’assunzione del cibo trattato, e quindi il dosaggio del farmaco, non è controllabile.
Inoltre, gli effetti antifecondativi decadono più o meno rapidamente, con la conseguenza di dover reiterare continuamente i trattamenti, senza soluzione di continuità.
Uno sterilizzante ideale dovrebbe risultare non tossico, privo di effetti collaterali, efficace per un lungo periodo (una stagione riproduttiva, o addirittura per tutta la vita dell’uccello), senza condizionare il comportamento sessuale, selettivo e facilmente accettato nella forma somministrata: in realtà le sostanze finora sperimentate, in 40 anni di ricerche, hanno fallito in uno o più di questi obiettivi (Feare, 1985).
Attualmente in Italia sono registrati per questo uso un prodotto a base progestinica, ed uno a base di nicarbazina: in questo caso l’efficacia ha mostrato risultati nettamente discordanti, a seconda della situazione di impiego.
Ad ogni modo, entrambe le tecniche di sterilizzazione sono costose e dispendiose, e per avere efficacia devono poter agire su gran parte della popolazione.
Il prelievo, la distruzione o sostituzione di uova è dispendiosa, perché si devono raggiungere tutti i nidi, è vanificata dalle covate di sostituzione, ed è inoltre è soggetta alle restrizioni di legge (nidi, uova e nidiacei delle specie selvatiche sono protetti dalla legge 157/92).
ANTIFECONDATIVI PER PICCIONI : EFFICACI OPPURE NO ?
PARERI A CONFRONTO
La funzionalità delle gonadi viene compromessa dalla nicarbazina, anche a bassi dosaggi, senza compromettere la salute degli animali. Gli effetti principali si hanno sulla fertilità delle uova (Martelli et al., 1993)
diminuzione del 46,8% in un anno nella zona trattata con nicarbazina (Carpi MO, Ferraresi et al., 1998)
diminuzione del 19-29% in un anno nella zona trattata con nicarbazina (Firenze, Lebboroni et al., 2001)
CONTRO:
le sostanze finora sperimentate, in 40 anni di ricerche, hanno fallito negli obiettivi (Feare, 1985)
l’uso della nicarbazina non ha ridotto significativamente il numero dei giovani, ne quello degli adulti (Roma, Istituto Superiore di Sanità, 1997)
dopo 10 anni di sterilizzazione farmacologica, il metodo è stato abbandonato perché poco efficace e molto costoso (Rennes, Francia, Clergeau, 1997 e OMS, 1997)
i contraccettivi (busulfan, ornitrol, nicarbazina, ecc.) non sono raccomandati perché costosi, difficili da dosare, tossici per i colombi e pericolosi per gli ecosistemi (Haag-Wackernagel, 2000)
la nicarbazina, alla dose maggiore, riduce soltanto del 30% la schiusa delle uova (Sbragia et al., 2001)
L’incremento dei predatori naturali è interessante anche sotto il punto di vista ecologico e educativo, sebbene l’efficacia resta limitata, a causa del comportamento territoriale dei rapaci e della sproporzione numerica che esiste tra prede e predatori.
La presenza del rapace, oltre alla predazione diretta, può avere inoltre un effetto deterrente.
E’ possibile intervenire in maniera semplice e indiretta, installando specifici modelli di nido artificiale destinati ai predatori, oppure in maniera diretta, tramite rilascio di individui (provenienti da centri autorizzati per il recupero di fauna selvatica).
La seconda opzione è molto più complessa, e richiede disponibilità di soggetti idonei, iter burocratico di autorizzazione al rilascio, costruzione e gestione di una voliera di ambientamento, monitoraggio anche tramite inanellamento e radio-tracking.
Le specie più idonee per operazioni del genere, in ambienti urbanizzati, sono:
Falco pellegrino Falco peregrinus (rapace diurno)
Allocco Strix aluco (rapace notturno)
Taccola Corvus monedula (corvide)
I metodi diretti e cruenti (cattura e spostamento a distanza, abbattimento con arma da fuoco, veleni, detergenti, ecc.) costituiscono l’approccio tradizionale usato per tentare di risolvere i problemi con l’avifauna (Feare, 1985).
Nonostante le pesanti perdite inflitte ad alcune specie, quali lo Storno in Europa e la Quelea Quelea quelea in Africa, si è sempre assistito al fallimento nella riduzione della popolazione complessiva. Ad esempio, un gruppo di colombi può essere ridotto dell’80%, ma dopo poche settimane il numero iniziale viene ristabilito, e talvolta superato (Haag-Wackernagel, 2000).
Si deve inoltre tenere presente che tutte le specie di uccelli selvatici sono protette ai sensi della legge 157/92.
Pertanto, oltre ad essere contrari ai principi etici, ed avere un elevato impatto ambientale, i metodi cruenti sono anche poco efficaci, perché il livello della popolazione si ristabilisce rapidamente:
- attraverso l’incremento dei ritmi di riproduzione dei superstiti
- per la minore mortalità degli individui che sarebbero deceduti naturalmente
- per immigrazione di individui dal territorio circostante
Ciò è tanto più vero se non vengono effettuati parallelamente interventi strutturali (riduzione delle risorse).
Inoltre, negli ambiti urbani, alcune di queste tecniche (esplosivi, arma da fuoco, ecc.) non sono utilizzabili anche per ragioni di sicurezza.
Le fasi della strategia
- INDIVIDUARE LA SPECIE, I PROBLEMI, GLI AMBITI (studio preliminare, censimento, sondaggio di opinione, individuazione cartografica delle zone a rischio, valutazione stato sanitario)
- LIMITARE LE RISORSE SOVRABBONDANTI (cibo, siti di alimentazione e riposo)
- IMPEDIRE L’ACCESSO NEI LUOGHI PROBLEMATICI
- IMPIEGARE TECNICHE DI DISSUASIONE
- FORNIRE SITI ALTERNATIVI
- MONITORARE IL TREND DELLA POPOLAZIONE
- VALUTARE L’EFFICACIA DEL METODO USATO, CON UN’OTTICA COSTI/BENEFICI
- INFORMARE E SENSIBILIZZARE COSTANTEMENTE CITTADINI, OPERATORI, PROGETTISTI
Altri accorgimenti generali :
- adottare misure di pulizia ed igiene ambientale (evitare di spargere rifiuti e sostanze commestibili, tenere puliti davanzali, marciapiedi, piazze, ecc.)
- usare le normali precauzioni igieniche (lavarsi le mani prima di assumere cibi)
- proteggere i punti critici (panchine, giochi per i bambini, auto) dalla caduta degli escrementi, installando mensole sotto ai nidi, tettoie e percorsi coperti
L’OBIETTIVO DEVE ESSERE LA RIDUZIONE DEI DISAGI
(MIGLIORE CONVIVENZA ESSERI UMANI/ANIMALI)
NON SI DESIDERA ESTINGUERE O ELIMINARE LE SPECIE,
MA SOLTANTO RIEQUILIBRARNE LA DENSITA’
Ricordarsi infine che occorre una certa tolleranza… la città non è solo degli uomini !
Riferimenti normativi
Legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”
- gli articoli 3 e 21 proteggono nidi, uova e nidiacei.
- l’articolo 19 prevede il controllo della fauna selvatica, anche nelle zone vietate alla caccia, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela della produzione zoo-agro-forestale e ittica.
Il controllo deve essere esercitato selettivamente e mediante l’utilizzo di metodi ecologici, su parere dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS). I piani di abbattimento possono essere autorizzati soltanto dalle Regioni, qualora l’INFS verifichi l’inefficacia dei metodi ecologici, e sono affidati alle guardie venatorie delle amministrazioni provinciali.
L’INFS indica un eventuale ricorso all’abbattimento al solo scopo di rafforzare l’efficacia dei metodi ecologici, nelle immediate prossimità delle colture, e solo in concomitanza della maturazione dei frutti (Andreotti et al., 1999).
- l’articolo 26 prevede un fondo regionale per prevenire e risarcire i danni arrecati dalla fauna selvatica alla produzione agricola.
Legge 189/2004 contro il maltrattamento degli animali, che ha sostituito l’art. 727 del codice penale.
Inquadramento normativo delle specie:
Il Gabbiano reale è protetto ai sensi della legge 157/92, ed è inserito nell’Allegato III della Convenzione di Berna.
Il Colombo di città ha l’inquadramento normativo più ambiguo in quanto, sebbene si comporti attualmente da “selvatico” ha origini domestiche, e quindi si potrebbe ritenere non ascrivibile tra le specie oggetto della 157/92, almeno secondo alcuni pareri tecnico-scientifici, secondo cui viene assimilato ad un “randagio”.
Secondo la sentenza della Corte di Cassazione (Cassazione Penale, Sezione 3, Sentenza n. 2598 del 26/01/2004) il Colombo di città è invece da ritenere appartenente alla fauna selvatica, protetta ai sensi della legge 157/92, in quanto vive in stato di libertà naturale nel territorio nazionale, sicchè ne è vietata la caccia o la cattura.
L’attribuzione della gestione alle amministrazioni comunali avviene in base alle competenze attribuite in materia sanitaria (art. 38 della legge 142/90 sull’ordinamento delle autonomie locali; art. 32 della legge 833/78 sul servizio sanitario nazionale).
I Comuni si trovano in tal modo a dover gestire questo delicato aspetto, controllando le popolazioni eventualmente sovrabbondanti, con la collaborazione dei Servizi Veterinari dell’Azienda Sanitaria Locale, oltre ad altri enti e associazioni.
Lo Storno è sottoposto a regime di protezione, in base alla direttiva n. 79/409/CEE e al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 marzo 1997, sebbene negli ultimi anni alcune Regioni abbiano utilizzato lo strumento della deroga, per reinserirlo tra le specie cacciabili.
E’ inoltre inserito nell’Allegato III della Convenzione di Berna.
La valutazione del problema
Un problema è tale anche se non ha risvolti reali, ma viene soltanto percepito dal pubblico. In situazioni del genere è necessaria una corretta informazione.
E’ importante condurre stime obiettive e realistiche degli impatti e dei danni causati dalle specie problematiche, per valutare l’opportunità economica delle azioni gestionali (Weatherhead et al., 1982).
Ad esempio, la proporzione del valore totale dei beni percepiti come persi a causa della fauna, da parte degli agricoltori degli Stati Uniti, è stata dello 0,3% (rispetto al valore della produzione agricola), sebbene il 55% ha dichiarato di subire problemi causati dagli animali selvatici (Wywialowski, 1994). Un altro studio americano ha valutato che l’impatto dell’avifauna sulla produzione agricola complessiva è minimo (0,8-1,6%) (White et al., 1985). Gli Storni possono comportare una perdita del raccolto di cereali valutato mediamente dallo 0,4 al 3,8%, ma si possono avere danni superiori (fino al 14%) nei siti posti entro 16 km da grossi dormitori, e dove la semina è stata tardiva (Johnson e Glahn, 1994).
Nelle strategie gestionali occorre valutare l’efficacia economica, che non sempre è considerata adeguatamente: i costi sostenuti per gli interventi di controllo non devono essere superiori al valore degli impatti economici causati dalle specie problematiche (costo delle misure di controllo/riduzione del danno) (Tahon, 1980).
L’efficacia di una misura di controllo…
- non può di certo essere basata sul numero di individui abbattuti
- può dipendere in una certa misura dalla riduzione della densità
complessiva
- dipende senza dubbio dalla diminuzione dei disagi
In Italia i dati e gli studi approfonditi sull’impatto economico (positivo e negativo) della fauna sono scarsi, soprattutto se rapportati all’efficacia dei metodi gestionali adottati: nel modenese allo Storno vengono attribuiti circa € 103291,38 (200 milioni di lire) di danni in agricoltura all’anno. La pulizia di una strada di 100-200 metri richiede € 258,23 (500.000 lire) alla settimana, pari ad un impegno annuo per il Comune di € 72303,97-206.582,76 (140-400 milioni di lire) (Ferri e Spampanato, 2000).
Su base nazionale, il costo medio annuo delle operazioni di gestione di specie ornitiche problematiche, effettuate da ciascuna amministrazione, è stato calcolato in € 35635,53 (69.000.000 di lire) (Dinetti e Gallo-Orsi, 1998).